I Cinesi non hanno mai saputo elevare la mente alle astrazioni di significato vasto e indefinito; ma han preferito tenersi al sodo e al determinato. Ora quanto più c’innalziamo con l’astrazione tanto più il concetto perde solidità, s’impoverisce d’idee precise, si vuota, non rimanendo che un involucro; nel quale si trova poi modo di metter ora una cosa ora un’altra, come meglio cade in acconcio. Questi siffatti concetti, e quel d’uguaglianza è del numero, formano i gradini della scala su per la quale gli uomini s’arrampicano volentieri, quando si danno ad immaginare teorie filosofiche, religiose, sociali o politiche. I Cinesi fanno eccezione: su per quella scala non son saliti; ed eccoli perciò pedestri, con il loro puerile buon senso, terra terra: guardati a ragione, dal sommo a cui noi siam giunti, con indulgente commiserazione: noi così ben piantati, e così bene avviati al meglio.
Mi sia dunque lecito, innanzi tutto, distinguere il diverso uso che si fa della parola uguaglianza, e le sue applicazioni a varj ordini di fatti; affine di vedere se qualche cosa di simile vi fosse nella Cina antica, poichè d’uguaglianza così in astratto, senza riferirsi a nulla, non ve ne ha traccia. L’uguaglianza si può dapprima appropriare a ciò che concerne l’uomo, riguardato come puro prodotto della natura: come a [177] dire ad una simigliante personalità, che similmente esce dal nulla e similmente vi rientra alla morte; a qualcosa di misterioso e di arcano che è nell’uomo, vuoi un’anima individuale, vuoi un frammento dell’anima universale, che dà ad ognuno un valore uguale di fronte a qualcosa di pur misterioso ed arcano, che sta al di sopra di tutto; finalmente a qualità fisiche, morali, e intellettuali similmente possedute da ciascuno.
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