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      I racconti popolari cinesi sono pieni d’apparizioni di morti, e di fatti che dimostrano la loro potestà sopra i viventi.
      Ma gli spiriti dei morti sono pel Confucianesimo tutt’altra cosa che pel popolo. Pel filosofo, il complesso delle qualità che formano una personalità umana, è espresso, come abbiam detto, quanto a’ viventi con la voce P’oh e quanto a’ defunti con la voce Kwei; se non che, mentre pel filosofo la morte disperde o trasforma queste qualità personali, riconducendole al Khi o in seno al fluido etereo universale, pel volgo il Kwei è l’ombra, lo spettro, il fantasma, la larva, lo spirito in somma che sopravvive al corpo disfatto, e che è capace di tutto quel che la fantasia de’ popoli primitivi attribuisce, in tutte le religioni animistiche, agli spiriti dei morti.
      Le pratiche del culto degli antenati tendono a condurre lo spirito del defunto dalla condizione di Kwéi, o di larva o spettro, a quella di Shen, che si avvicina al divino. Prima di divenir tale, lo spirito ha però una vita più o meno lunga entro le tabelle funerarie dei templi domestici. In quelle tabelle l’anima dimora fino a che cessano i sagrificj in suo onore; i quali si estendono ad una serie di [213] antenati sempre più antica, quanto più è alta la condizione della famiglia a cui appartengono. Gli antenati dei sovrani e dei principi hanno uno spirito (Shen), la cui vita individuale viene prolungata per molte generazioni, mentre il popolo e le persone di bassa condizione, diventano Kwéi appena passati di questa vita.


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La vecchia Cina
di Carlo Puini
Editore Self Firenze
1913 pagine 246

   





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