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      Così fatta distinzione indurrebbe a supporre, che lo stato di spirito personale, o shen, nelle tabelle funerarie, fosse pel defunto uno stato di felicità; poichè il prolungarla con sagrificj continuati per molte generazioni, è privilegio delle famiglie d’alta condizione. Bisogna però notare, che i defunti fino a che si suppongono esistere nello stato di spiriti nei sacrarj domestici, hanno attribuzioni non lievi. Se a loro vengono fatti sagrificj regolari secondo il rito, essi stessi devono a lor volta sorvegliare la famiglia a cui appartengono, procurarle quel benessere che le è necessario, esserne la provvidenza. E s’intende come tali attribuzioni siano tanto più ampie, e dirò così più faticose, quando la famiglia ha maggiori e più alte ingerenze: quanto la sua autorità si estende fuori delle mura domestiche, nel dominio delle pubbliche faccende. Tale è il caso del re, dei principi, delle alte dignità, i cui antenati hanno da provvedere non solo al benessere della famiglia, ma a quello degli amministrati, del popolo, della nazione intera. Egli è necessario allora che il culto sia più complesso, che una [214] serie più numerosa d’antenati si divida questa faticosa bisogna, quest’ufficio postumo, continuazione di quello che ebbero da vivi sulla terra. Al popolo, alle persone di condizione umile, il padre e, al più, l’avo defunti bastano a sorvegliare il buono andamento delle faccende domestiche. Il culto dei morti, in tal caso, non va oltre una o due generazioni. I defunti allora diventano Kwéi, o conseguiscono lo stato finale a cui sono destinati, molto prima dei defunti dei grandi, dei principi, d’ogni persona, in somma, che abbia avuto un qualche ufficio pubblico di certa importanza.


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La vecchia Cina
di Carlo Puini
Editore Self Firenze
1913 pagine 246

   





Kwéi