- Così noi vediamo, che per sottrarsene, molti popoli selvaggi uccidono i loro vecchi. Nella Melanesia, nella Polinesia, presso gli abitanti della baia d’Hudson, presso gli Esquimesi, i Kamciadali, gli Algonchini ed altri molti, la sorte dei vecchi è di tal modo miseranda. E tale era appunto appresso alcuni popoli barbari dell’antichità; i Sogdiani, i Battriani, i Massageti, secondo Strabone; gli insulari [237] di Ceo, secondo Erodoto; i Trogloditi, secondo Diodoro e Agatarchide.
Le antiche civiltà semitiche e la civiltà romana, avevano provvisto nel primo modo: l’autorità paterna pesava su la famiglia come autorità divina. L’antica civiltà indiana, dominata anch’essa dalla religione, dove pure la religione era tutto, aveva nondimeno provvisto altrimenti: era la religione stessa che comandava alla vecchiaia di lasciare il governo della famiglia alla virilità. Le Leggi di Manu dividono infatti la vita del brammano in quattro periodi: quelli di brahmachârin, di grihastha, di vânaprastha e di bhikshu: che è quanto dire di giovane scapolo; di studente della religione de’ padri; di uomo maritato, capo di casa e sacerdote del culto domestico; di anacoreta o devoto. Quest’ultimo è il periodo della vecchiaia, nel quale il brammano deve darsi interamente alle pratiche religiose. Per tal modo le leggi di Manu lasciano libero di sè stesso l’uomo, quando egli sente la vita in tutta la sua pienezza; escludendo dalla casa un’autorità, che non poteva esser più docilmente sopportata; e togliendo all’affaccendarsi mondano una vecchiaia, alla quale è stimato più giovevole il prepararsi degnamente alla morte, nella contemplazione devota di una felicità oltre tomba.
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