Solamente desumono che que’ principi siano falsi, perchè le conseguenze sono contrarie a quelli, ch’eglino stimano giusti, anzi i soli adattati al consorzio civile. Vero è che il Buddismo, col suo disprezzo pel mondo e la società degli uomini, non riesce a far che l’uno e l’altra non esistano in effetto; e con l’affermare la vanità d’ogni cosa, non può strappare dal fondo del cuore umano gli affetti terreni che fortemente vi allignano. Così avviene che il credente, o chi è convinto d’esser tale, s’adopra al [258] proprio interesse, dichiarandosi pieno d’amore per gli altri; drizza la sua cupidigia a’ beni della terra, asserendo che il solo bene e la sola verità è oltre questo mondo; s’immerge nel fango della vita, proclamandosi amante sviscerato dell’idealità; e muore consumato dal desiderio d’una felicità terrena che non ha conseguito, persuaso d’aver percorso la strada, che conduce all’eterna felicità celeste. Laonde il buddista che vuole operare logicamente, conforme ai principi della sua legge, convien che rifugga ne’ monasteri, nelle grotte, negli eremitaggi; distinto dalla folla, che, pur dicendosi professante il buddismo, vuol vivere nel mondo e dei suoi affetti, nella società e dei suoi vantaggi.
Questo contrasto nelle coscienze individuali, che conduce ad una doppia forma di società monacale e laica; e a due potestà distinte, ecclesiastica e civile, spesso in lotta fra loro, urta fortemente il senso comune dei cinesi della setta confuciana. I quali appunto rimproverano al Buddismo d’insegnare una dottrina che distrae gli uomini dalle faccende di questo mondo; perchè mostra loro per principale obbietto qualcosa che è fuor di quello; perchè tiene la presente condizione dei viventi essere un risultamento necessario d’azioni compiute in esistenze passate; e perchè spinge ad operar sempre in vista d’una ricompensa da conseguirsi in una esistenza futura.
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