) quando, prediletto figlio della patria, mi trovava spesso ipotecato per una gran sequela di pranzi, a guisa di una bella fanciulla che ha già impegnati una settimana prima tutti i valzer d’una festa da ballo. Allora i conviti o sontuosi o cordiali, e allegri sempre, mi mettevano indosso una tale vivacità che, se credo ai critici più sottili, i miei versi e le mie prose sentivano perfino un po’ del satirico. Ora l’ostracismo, i digiuni e l’aqua fontis mi hanno domato di una tal maniera, sono divenuto così prudente, meticuloso, rispettoso anche per le persone indegne di rispetto che, a dirvela in confidenza, fo compassione a me stesso. Ma, replico per la terza e ultima volta, veniamo all’arte di convitare.
Per la storia dei conviti vi rimetto ai molti autori che trattarono questa specialità. Il raccontarvela quì anche in compendio ci menerebbe troppo per le lunghe, e sarebbe inutile allo scopo pratico. Però, un cenno brevissimo, altamente filosofico, a viste grandiose, complesse, sintetiche, ve lo diedi anch’io quando provai che dalla cucina ebbero vita tutte le scienze, tutte le arti, tutte le cose buone e belle di questo mondo. Ora soggiungo che il pranzar bene non basta, ma bisogna pranzare in buona compagnia, perchè ciò produce il piacere morale, e raddoppia il piacere fisico, rendendoci capaci di mangiare il doppio del solito. Chiamo in testimonio di questa verità tutti i miei lettori, eccettuati però quelli che vanno via a pranzo tutto l’anno: perchè il mangiar sempre il doppio del solito è un po’ difficile a ottenersi.
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