Oh quanti che respirano a stento sotto alla ciccia di Ermolao, si sentirebbero emuli d’Ilarione!
Molti invitano a mangiare una zuppa: e taluni dicono perfino una cattiva zuppa. Male assai; cioè, male la zuppa, e peggio l’epiteto. Condanno l’aggettivo per gli argomenti sovr’accennati circa alla penitenza e alla modestia falsa: e scarto anche il sostantivo per due ragioni, anzi tre. Primo: perchè è un modo d’invitare soverchiamente usato, logoro, plateale. Secondo: perchè essendo appunto un mero termine di convenzione, spesse volte riesce una menzogna, e la zuppa non c’è. Ora, si deve dare assai più di quanto si promette, ma ciò che si promette ci ha da essere sempre. Vo avanti, e soggiungo che la zuppa si può benissimo darla, ma non si deve prometterla mai, come non si promette l’insalata, perchè indegna di onorevole menzione. Difatti, quantunque la zuppa possa avere complicazioni squisitissime e meritevoli di stabilire la fama di un cuoco, per sè stessa è un’idea poco solleticante. Fette di pane gonfiate nel brodo, parenti strettissime del pancotto e del pantrito, che ci fanno venire in mente la malattia o la convalescenza in berretto da notte, e che solitamente venivano dopo allo stomachevole olio di ricino o all’esecrabile infuso lassativo. Insomma, se io ho da onorare la vostra mensa, sottoponetemi alla fantasia un concetto molto più appetitoso di quello che mi risveglia la zuppa, per la quale vi dico che io non mi movo nemmeno. Quando vogliate intitolare il pranzo dalla minestra, anzichè usare quel brutto gallicismo, sarà ben meglio invitare ai ravioli o al risotto, che sono tutt’altra cosa, e che sono parte integrante del nostro orgoglio nazionale.
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Ermolao Ilarione
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