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      Quì viene opportuno il ricordare due generi opposti di invitatori egualmente viziosi, cioè i freddi o indeterminati, e i seccanti o violenti. I primi non si sa mai se invitino di cuore, o per distrazione, o per dire una parola oziosa. «Dimani pranzano in casa mia il tale e il tal altro: vuol venire anche lei?» Che razza di dimanda è questa? se voglio venire tocca a voi a volere che io venga, e poi spiegherò la volontà mia. Ma il vostro parlare indica per lo meno l’assoluta indifferenza sulla mia determinazione, o anche il desiderio che io non accetti: e allora, che necessità d’invitarmi? E poi, ho io da venire perchè vengono altri? Va bene che questa sia la principale ragione dell’invito, ma si deve dissimularla: può anche essere accennata dopo, per far risolvere la mia volontà dubiosa, giacchè la buona compagnia è un buon argomento: ma deve insomma apparire che invitiate me per posseder me, e non per tirarmi a far numero o corteggio ad altri.
      Taluni dicono: «Bisogna poi ricordarsi di favorirci qualche volta a pranzo: perchè non viene mai? qualunque giorno è buono per noi: si capita verso le cinque senza cerimonie.» Fortunato chi può invitare in questo modo; è segno che la sua lucerna è sempre ben provista d’olio; ma non è questo il modo d’invitare, no: perchè una persona dotata della menoma delicatezza, non lo trova mai quel giorno da venir là a dire: «Sono quì.» Ci vuole un bel coraggio a entrare in una famiglia per pranzare, quando non si è precisamente aspettato, a rischio di generare qualche sorpresa e di ricevere un accoglimento non troppo caldo.


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L'arte di convitare spiegata al popolo
di Giovanni Rajberti
Editore Bertieri Milano
1937 pagine 212