Il bel mondo suol pranzare alle cinque: l’aristocrazia, la burocrazia, i possidenti, i negozianti, i professionisti, gli artisti, ecc. Molti tirano innanzi qualche mezz’ora, ed è del gran genere, massime in certe stagioni, attender le sei, e anche al di là. Insomma, il tardare è sempre cosa sublime, mirabile, lionesca. Altri mo’ anticipano qualche mezz’ora, e taluni sono capaci di calar giù fino alle ore quattro, al disotto delle quali poi non è permesso discendere, sotto pena di sentirvi a dimandare qual sia la vostra setta o da qual mondo veniate. E quì bisogna avvertire che quando si parla di ora del pranzo, s’intende sempre del pranzo in famiglia. L’uomo solo, disoccupato, che va alla trattoria è un exlege, libero affatto di seguire il capriccioso orario della fame o della propria fantasia. Nè si ha da credere che il generale accordo della buona società in un’ora quasi simultanea pel pranzo sia atto di servilità a una moda irragionevole. Per molta parte dell’anno alle ore cinque il giorno è prossimo alla sera, e d’inverno questa incomincia. Quindi il pranzar tardi e abbrevia per le signore la monotonia delle lunghe serate, e allunga per gli uomini d’affari l’utile godimento delle ore diurne. Quell’ora bipartisce equabilmente la giornata ai ricchi che non la cominciano troppo presto; e riesce comodissima anche d’estate, perchè dà tempo agli ardori del sole di moderarsi, e vi dispone al passeggio vespertino, alla trottata sul corso, ecc. D’ordinario gli studii dei negozianti, e costantemente i pubblici ufficii, si chiudono alle quattro; e il buon impiegato che dimandò tante volte quell’ora al pigro oriuolo, si dà una fregatina di mani, con un «se Dio vuole, anche quest’oggi ho finito», e, fatta qualche chiacchiera per via, e qualche visituccia simpatica, arriva a casa proprio nel momento fumante che si serve in tavola la minestra.
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Dio
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