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      Il pranzo, che sia degno del proprio nome, e non si riduca alle proporzioni di una frugal refezione, ci rende poco atti alle serie e continuate occupazioni tanto dello spirito quanto del corpo: talchè, se per il nostro moderato clima è soverchio il precetto della scuola salernitana, post prandium stabis, sarebbe ottimo senno il sostituirgli post prandium vacabis. Ed ecco perchè gli uomini naturalmente inclinano a protrarre il pranzo finchè abbiano fatto il meglio e il più di quanto hanno a fare. Stabilito poi una volta l’orario da ceti numerosi e autorevoli, bisogna che vi si uniformino tanti altri che ne dipendono o vi si collegano, per quanto loro preme il buono e regolare andamento del consorzio sociale: come in geografia, fissato una volta per punto di partenza il meridiano di Parigi, bisogna che tutti vi si uniformino, sotto pena di errori e di confusione. Così tutti sanno fino a quale ora si possano protrarre le visite, fino a quale altra non si possano ricominciare senza indiscrezione: e vi hanno per le famiglie ore sacre e inviolabili di domestica libertà. Giacchè (se mai v’è ancora chi abbia bisogno di sentirselo a dire) ritenete per assioma affatto elementare di civiltà, che, eccetto fra persone della massima confidenza, non si va mai nell’ora del pranzo in casa altrui, perchè almeno quando si dorme e quando si mangia si ha da poter credere di essere in casa propria. Supponiamo, per modo d’esempio, che da voi si pranzi alle ore due: chi può imaginarselo, fuori degli amici?


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L'arte di convitare spiegata al popolo
di Giovanni Rajberti
Editore Bertieri Milano
1937 pagine 212

   





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