Appena mangiata la minestra, arriva una visita di persone di riguardo che sono dolenti e imbarazzate d’avervi sorpresi a tavola: ma voi fate i disinvolti e i giulivi tuttochè più dolenti e imbarazzati di loro per esservi lasciati cogliere a un pasto esemplarmente frugale; cosa tanto probabile in chi desina alle due ore. Quei signori vogliono partire e lasciarvi in libertà; voi non potete permetterlo quantunque in cuor vostro li mandiate sulle corna di tutti i diavoli; e protestate di aver quasi finito, e fate passare la frittura per l’arrosto, e fate correre di soppiatto l’unica servetta o un figliuolo a comperare quattro pera e una fetta di formaggio che debbano rappresentare il dessert, intanto che un pajo di piatti vuoti s’ingegnano a nascondere le più larghe e vivaci macchie della tovaglia. Questa piccola scena comica basti per tante altre a dimostrarvi gl’inconvenienti del non pranzare all’ora commune. Almeno a quell’ora potrete cavarvi la fame con patate e carne di pecora, e poi alla sera lagnarvi sbadatamente in conversazione che i tartufi e la selvaggina v’han dato un po’ di peso allo stomaco. Insomma, poco prima o poco dopo, si pranza alle cinque, e meglio dopo che prima: e se vi trattenni alquanto su questo tema, fu per dimostrarvi che certe consuetudini, le quali a primo aspetto sembrano affatto arbitrarie e convenzionali, hanno le loro buone e belle ragioni in rerum natura.
Ora veniamo a noi. Ditemi un poco, sareste per avventura di quelli che pranzano alle due? forse a un’ora? oimè, c’è ancora di peggio? già io parlo al popolo, e il popolo è di tutti i colori, e ne fa di belle.
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