Nè occorre il ripetermi che queste sono superstizioni sciocche, riprovevoli, e perciò degne d’essere combattute a tutto potere. Siamo perfettamente d’accordo quanto al primo punto; ma intanto il fatto di questo pregiudizio sussiste, e l’enorme fatuità del medesimo non sarà mai argomento per inferirne che debba essere poco difuso. Quanto al secondo punto, siamo ancora d’accordo: sì; è bene dar mano attiva e costante a distruggere le superstizioni: ma nei libri, ma nelle conversazioni, ma dal pulpito, se volete: non mai a tavola, dove si ha lo scopo di far cosa grata a tutti; dove non s’hanno a distruggere che le vivande e le bottiglie e i pensieri melanconici. Stiamo dunque a vedere che oltre all’avervi fatto l’onore di accettare un pranzo, dovremo subire per forza e a tradimento una paurosa lezione di filosofia! E se poi uno dei tredici, cosa non improbabile, avesse proprio a morire nell’anno? Io vi dimando quanto persuadente ed efficace sarebbe riescita la vostra lezione. È bensì vero che la probabilità di morte cresce col crescere il numero dei commensali, e forse si raddoppierebbe se fossero, per esempio, ventisei: ma, tutto ben ponderato, ciò dovrebbe risultare dall’essere il ventisei niente altro che un tredici raddoppiato. Potrete fors’anco dirmi che i vostri invitati non hanno simili pregiudizii, perchè tutta gente dotta e di buon criterio. Eh, miei cari, più si vive, e più bisogna persuadersi che sull’albero della sapienza può benissimo innestarsi un ramoscello di pazzia, e che il più distinto buon senso lascia spesso desiderare un po’ di senso commune.
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