Nè si può pretendere meno dall’amico del cuore, in quest’epoca prosaica e poltrona che non lo obliga più a correre armato a battersi coi cavalieri erranti per provare che la sua dama è il più eletto fiore di bellezza e di virtù. E l’amico partiva, ma in questa intelligenza, che avrebbe gironzato a vista della casa almeno una mezz’ora: perchè se mai sopragiugneva un tardivo a rimettere la tredicina, egli risaliva in coda a rifare il quattordici. Passata la mezz’ora e, per colmo di precauzione, un altro quarto, se ne andava all’osteria, beato di aver reso a madama un sì importante servigio.
Un altro aneddotino, e quindi passeremo oltre. Eravamo in casa d’un amico, lì lì all’istante di passare nella sala da pranzo. Uno degli invitati aveva l’aria preoccupata, e con occhiate rapide passava in rivista la comitiva. Rivoltosi al padrone di casa, dimandò «Non si aspetta nessun altro? — No, ci siamo tutti.» Si va a tavola, e.... l’amico è scomparso. Un servitore annunzia che «Il signor N. lascia mille doveri e mille scuse, ma per un affare urgente che aveva dimenticato, deve privarsi del piacere della compagnia.» La cosa ai più parve strana, e si cominciò ad almanaccare sulla causa. Chi opinava che si sarà sentito male: chi dimandava se mai si fosse tenuto qualche discorso che indirettamente avesse potuto offenderlo: un tale, celebre per le sue distrazioni, sosteneva nulla esservi di più facile e naturale quanto un impegno indeclinabile e stato dimenticato. Finalmente uno di quelli che se ne intendono, e che talvolta da una sola parola indovinano tutto un uomo (come Cuvier da un dente fossile argomentava tutta la struttura d’un tipo perduto di bestia), disse: «Il vero motivo credo averlo scoperto io: eravamo in tredici, e quando fu certo che non arrivava più nessuno a cambiare il numero, si è salvato colla fuga.
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Cuvier
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