Noi, vedete, siamo capaci di berne un bicchiere più del necessario, massime se ce lo darete buono; e verso la fine del pranzo uno diventerà poeta, un altro oratore sentimentale, un terzo filosofo: e Tizio scioglierà le più intricate questioni di economia publica, e Sempronio trincierà politica peggio che una gazzetta: perchè se il proverbio dice che nel vino c’è la verità, io soggiungo che nel vino ci stanno le scienze tutte, le quali altro non sono che la verità. Il più obeso indicherà i rimedii pronti e sicuri per isbandire il pauperismo e la fame dai grandi centri di popolazione: due amici abbracciandosi raccomanderanno caldamente alla Francia e all’Inghilterra di star ben unite fra loro: e un furbo ci spiegherà con aria di mistero come debba andar presto a finire la gran questione europea. Che più? nel calore della ciarla un buon impiegato scapperà fuori a dire, in via di parentesi, che il suo capo d’ufficio è un gran bestione, o fors’anche un solenne birbante. E questi e consimili parlari inconcludenti, la cui responsabilità è tutta della bottiglia, che nessuno più ricorda il giorno dopo, avrebbero ad essere raccolti da un imbecille maligno che se ne serva per metterci in ridicolo dietro le spalle? o, ciò che è peggio, anderebbero ad amplificarsi e aggravarsi in bocca d’un Giuda, procurandoci frutti di pentimento?
Ma lasciamo questa ipotesi che è la più sinistra se non la più difficile ad avverarsi. Dico che ad un pranzo di onesti e cordiali amici l’intervento d’una sola persona che per qualsisia titolo non goda buon nome, è fatto bastante a intorbidare la serenità delle fronti, e a cambiare la giovialità in freddezza e riserbo: con che fallisce lo scopo massimo del convegno che si raduna per passare alcune ore fra le delizie della schietta e lieta convivenza.
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