Credevate forse che io dovessi fornirvi un trattato di volgare epicureismo, e farvi ridere grassamente colla disputazione sulle salse, o coll’elogio della selvaggina? Allora io avrei composto un libro frivolo, e ciò non è più lecito nel secolo del progresso che vuole ogni opera dell’ingegno coordinata a rigenerare, a rialzare, a rieducare tutto il corpo sociale. Ed io, fedele al generoso appello, tento di perfezionare l’arte dell’anfitrione, che ne’ suoi rapporti materiali è stata finora un monopolio dei ricchi, e nei rapporti morali è poco meno che una rivelazione, una scienza nuova. E pretenderete che una scienza nuova vi riesca facile di primo colpo? Non bisogna però disanimarsi; anzi è d’uopo adottare la divisa di Galileo: provando e riprovando: e raddoppiare di studii, e moltiplicare i pranzi, e voler sempre per commensale qualche critico di gusto severo che vi renda ragione dei vostri progressi: e sperare che coll’esercizio e col tempo vi renderete maestri nei più riposti segreti dell’arte. Il conseguimento della gloria esige sforzi e sagrificii; e di vera gloria a buon mercato non se ne vende in nessuna bottega.
Ma il terribile sta in ciò, che molte volte non si può comperarla nemmeno a caro prezzo: perchè a forza di denaro si daranno pranzi splendidi, magnifici, epuloneschi, sardanapaleschi: ma i pranzi dei capi ameni, della giocondità sincera, della libera ciarla, delle lunghe risate: che si ricordano per tutta la vita, e fanno dire ai vecchi: «Che belle ore si passavano, e che cara società si trovava in casa del tale di buona memoria»; oh! questi pranzi tanto desiderabili sono altretanto rari, perchè a saperli combinare abbisogna e buon senso e bel cuore.
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Galileo
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