Spero che mi avrete inteso a discrezione, tanto più che v’ho detto in poche parole quanto dovrebbe svilupparsi in un lungo discorso: e noi adesso abbiamo fame. Sopratutto non mi farete il torto di applicare ciò che dissi ai pranzi, i quali non sono un vizio ma una virtù. E che? mi credereste capace di andare a desinare da un amico per metterlo in canzone? sarebbe il più nero dei tradimenti. Io ci vo per fargli da mentore, per prodigare a Giorgio i consigli della mia esperienza, e così poterlo presentare alla patria degno e perfetto anfitrione(1).
Manca un quarto d’ora alle cinque: entro in casa dell’amico. «Madama, i miei rispetti: riverisco queste belle signorine: caro Giorgio: signor avvocato, signor canonico, ho l’onore: servo di donna Eufrasia: signor Onofrio, lei ringiovanisce tutti i giorni (complimento pessimo e da bandirsi perchè in sostanza rinfaccia la vecchiezza): che bella ciera ti trovo, maestro! frutto di quel buon appetito da suonatore che è passato in proverbio: ecc.». Le risposte potete imaginarle. Intanto mi avvicino al fuoco e mi lagno della stagione che è fredda assai. Il discorrere del tempo che fa non è cosa frivola e sciocca come pensano alcuni. È un opportunissimo luogo commune quando si è lì come marmotte e non si sa in che modo avviare una ciarla qualunque: massime in un circolo dove non si conoscono bene i sentimenti dei singoli. È uno dei pochissimi discorsi che si possono fare tra noi senza pericolo di compromettere o di compromettersi.... anche in questi tempi di libertà, grazie alle così dette spie, delle quali non v’è penuria mai.
| |
Giorgio Giorgio Eufrasia Onofrio
|