Del resto, mi congratulo che la tavola è ben disposta e ornata, e sopratutto che ci staremo commodi e con sufficiente spazio per muoverci e manovrare delle braccia. Lo sconcio di far servire una tavola per un numero maggiore di persone che non si possa senza disagio, è grave e pur troppo assai frequente: anzi, mi ricordo di averne mosso lagnanza, sono già molti anni, in qualch’una delle mie opere passate; credo precisamente nella Prefazione delle mie opere future; ma il disordine continua, come se io non avessi mai fatto gemere i torchi. È destino dei libri buoni di non essere ascoltati mai. Il publico è così avvezzo a leggere teorie oscure e imbrogliate, sopra temi che non hanno nulla a che fare colla vita reale, che, quando gli vengono sott’occhi precetti sinceri, facili, evidenti e di giornaliera applicazione, crede perfino che l’autore buffoneggi, lo chiama umorista, piglia in riso le più savie ammonizioni, e seguita a diportarsi sceleratamente. Vi sarà una tavola che, tirata alla sua massima estensibilità, può ragionevolmente servire a sedici persone; e si vuol già mettercene intorno diciotto; via! per amore del prossimo ci ingegneremo a starci. Sopragiungono altri due inattesi: che s’ha da fare in questo caso? ilico et immediate apparecchiare una piccola tavola di soccorso, vera tavola di salvamento per tutti e venti, giacchè accoglierà non due ma quattro persone, a sollievo della mensa maggiore. Ma per solito non si fa nulla di ciò: bensì si continua a stringere le file già troppo fitte della tavola: per dare così a tutti un vero saggio di tortura, e sciogliere un problema di fisica sull’ultimo grado possibile di coercibilità del corpo umano.
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Prefazione
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