E se trovate che le famiglie sieno ancora incorreggibili sopra un punto così essenziale, vi consiglio a recarvi ai pranzi muniti di quel braccio snodato che tengono sempre in tasca gli assistenti di fabrica e i muratori. Giunti alla tavola, e vedendo di doverci stare oppressi, cavatelo, misurate, e reclamate senza remissione il pieno godimento delle vostre tredici oncie che vi toccano di stretto diritto, e come la legitima, a termini del codice sullodato, e del mio.
Ora ritorniamo fra gli amici; ecco che arriva il dottore. «Dimando mille perdoni a questa bella compagnia del mio ritardo involontario. — Bravo dottore, non si aspettava che te: hai avuto qualche visita d’impegno, eh? — Sì, da una contessina che mi volle presso al suo letto finchè fosse passata l’ora del parossismo nervoso. — Giorgio, non credergli, veh! — Sei pur maligno: non potrebbe essere vero? — Nemmeno per sogno: ti pare che abbia una ciera da curar contessine? vogliono essere altre faccie; ed è un bel chè se gli lasciano toccare il polso al guattero o allo stalliere. — Ah dottoraccio (per distinguerti dal dottore), aveva ben ragione quella dama che ti chiamava una gran lingua d’inferno!»
Signori, la tavola è pronta. — Tutti si alzano, ma nessuno s’incammina, e formano un gran semicerchio intorno all’uscita: «Donna Eufrasia, favorisca. — Signor canonico, a lei. — Oh, io sono di casa. — Avanti lei. — No, davvero. — Prego. — Non facciamo cerimonie. — So il mio dovere. — Animo, animo, prima il bel sesso. — Oh, si figuri, avanti lei.
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Eufrasia
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