Nelle case dei grandi signori, quando si passa dalla sala di conversazione a quella del pranzo, si procede così: all’annunzio che la tavola è pronta, tutti si alzano: il padrone di casa offre il braccio alla digniore delle dame invitate: il digniore dei cavalieri invitati offre il braccio alla padrona di casa: e così da digniori in semplicemente degni fin che ci sono cavalieri e dame; il tutto con certo ordine e con certe regole destramente osservate, sulle quali è superfluo illuminare il popolo. Dopo segue alla rinfusa e senza smorfie la gente anonima, l’avvocato, il ragioniere, il medico, il prete di casa, e se c’è di peggio: persone tutte che corrisponderebbero presso a poco alle ombre delle antiche cene romane. Ed è proprio una consolazione a vedere come queste creature in sì distinte occasioni sappiano diportarsi bene. Capiscono che sono là per favore, che bisogna osservare e imparare, lasciar fare e obedire. Perciò non alzano mai la voce; si lasciano servire quando viene la loro volta; non istorpiano di cortesie i vicini di posto; insomma, la loro officiosità è passiva, riserbata, umile, come quella dell’Azzeccagarbugli alla mensa di don Rodrigo. Ma quando si trovano nel loro elemento naturale, fra il popolo, dimentichi affatto di quelle sublimi lezioni, ritornano agli istinti della propria specie, e riescono d’una clamorosità così assordante, d’una così opprimente gentilezza, d’una cordialità tanto vessatoria, che sono capaci di sgridare da un capo all’altro della tavola o la signora tale perchè non mangia come un omaccio, o il signor tal altro perchè non beve un bicchiere di vino ogni minuto.
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Azzeccagarbugli Rodrigo
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