Là si va sempre a dar ragione; quì si può anche dar torto, e le idee si appurano nel crogiuolo della più calda e vivace polemica. Là è un continuo stare in guardia di sè medesimi e fingere di essere educatissimi: quì il galateo è abbastanza largo e indulgente. Là incutono soggezione perfino le livree, e specialmente i camerieri di primo ordine che vestono con una eleganza umiliante, e che sopratutto taciono e stanno attentissimi; quì colle persone di servizio si ride e si scherza, e si dà loro del tu, e anche si stringe la guancia tra l’indice e il medio a una bella servetta. Là si compare in giubba e guanti gialli e stivali inverniciati: e se trattasi di dine prié, cioè di pranzo d’etichetta con invito a stampa, si va in iscarpe e calzette di seta: e guai se fa cattivo tempo, perchè bisogna proprio discendere da un lurido fiacre davanti a quel terribile guarda-portone, minosse e cerbero al tempo stesso, che giudica le persone dall’equipaggio, e ha un sogghigno ineffabile per le carrozze da nolo. Ma tra noi si va in abito di mattina, e se c’è un po’ di fango alle estremità inferiori, purchè sia recente, è ammesso, per l’ottima ragione che le gambe non devono andare sulla tavola, ma sotto. Là, fra gli aristocratici, suda pure e ansa dal caldo fino che vuoi, che bisogna star sempre duro e impiccato nella cravatta inamidata che ti fa muovere tutto d’un pezzo come chi avesse un vescicante alla nuca: quì, se le signore lo permettono, si sta scollati, e anche in maniche di camicia, e perfino con le braccia napoleonicamente al sen conserte, e appoggiate sulla tovaglia.
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