E se anche non esistesse censura, vi pare che sarebbero questi i momenti adattati per fare il bell’umore? Vi sarebbe tutta la probabilità di provocare la confisca del libro e dell’autore insieme. Figuratevi che gusto ci avrei a subire un ratto e farmi portar via come il bellissimo Ganimede dall’Aquila per aver voluto farvi ridere più saporitamente.
Voglio portarvi una similitudine. Vi sarà occorso talvolta di tenere in mano un passero o un canarino ineducato, il quale intanto s’ingegna a beccarvi furiosamente. Voi ridete di quella rabbia da uccellino, e pensate che se vi venisse il ticchio di stringere un poco le dita, egli vi farebbe la ciera compunta e vi morirebbe in mano di disgusto. Mi sembra che questa sia a un dipresso la condizione di uno scrittore che si avvisasse, nelle attuali circostanze, di fare il bravo, e di pungere chi ha la forza e la facoltà di usarne in qualsisia maniera. E quantunque nella compassionevole impotenza della penna davanti alla spada sia possibile e anche probabile che un tratto di avventatezza o una grossa scappata passi inavvertita o non degnata neppure di reazione: io dimando se chi ha qualche sentimento di fierezza e dignità possa ridursi a calcolare sulla trascuranza e sul disprezzo altrui. Fidatevi di me che so benissimo quale dovrebbe essere lo scopo e la missione della satira, sale della società e anima del mondo morale: ma per adesso bisogna accontentarsi di satirizzare coloro che sono deboli e inesperti nella bell’arte di dare da pranzo.
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Ganimede Aquila
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