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      E ciò che vale pel mondo fisico non varrà pel morale? Perchè mo s’ha da trovar futile lo sviluppo di un tema che, oltre all’aver pure la sua buona parte d’istruzione pratica, serve di pretesto a mettervi sott’occhio varii schizzi di costumi e profili di caratteri non ancor tratteggiati? Nè venite a ripetermi che io abbia dato in caricature; altrimenti crederò che anche voi scrittori abbiate a imparar qualche cosa dal mio libro. Io ho sempre rilevato fedelmente dal vero: qualche volta da un vero non frequente (e perciò l’avrete stimato esaggerazione), ma è appunto quello che, per essere meno ovvio, si va a ricercare e a cogliere sul fatto, essendo questo lo scopo dell’arte. Un pittore distinto si fa pagare cento zecchini la fatica di ritrarre qualunque faccia commune e insignificante: ma quando incontra per le strade un pezzente provvisto d’una fisonomia molto espressiva e fuori dell’ordinario, diventa come il bracco che ferma la quaglia: e se lo conduce a casa, e lo paga lui perchè si lasci delineare: e tiene in serbo quel volto prezioso per le occorrenze d’un quadro d’impegno.
      E quì cade opportuno il soggiugnere un’altra idea. Sono persuaso che l’esaggerazione sia il vizio inevitabile dei panegiristi: ma al contrario gli autori satirici, quando tratteggino sul generico, e non sieno mossi da passione, non è raro che restino indietro del vero. Oh quante volte, credendo aver detto il più che si poteva dire, mi trovai soprafatto e umiliato dalla realtà! «Oh che bestia! (io pensai spesso) mi stimava poeta, e la prosa dei fatti supera assai la mia forza d’idealità.» Ne volete un esempio desunto da cose tenui? dove descrissi i fanciullini irrequieti e molesti a tavola, mi parve proprio che non si dovesse andare più in là: ebbene, qualche tempo dopo, in una casa di buoni amici, mi toccò vedere un bel bambinotto di due anni e mezzo a passeggiar carpone sulla tavola, proprio tra i bicchieri e le bottiglie.


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L'arte di convitare spiegata al popolo
di Giovanni Rajberti
Editore Bertieri Milano
1937 pagine 212