Per non farlo piangere lo lasciavano fare, e si affrettavano a sgomberargli la via levandone gli inciampi, e ridevano come matti, e ridendo anch’io, sclamai: «Questo sceleratino in erba dovrebbe riescire un gran critico di libri, perchè comincia già a farmi parer fiacco e sbiadito il mio: confesso che a un piccolo passeggio sulla tavola non ci arrivava più di mia testa: e anche dopo averlo veduto non avrei coraggio di annoverarlo tra i casi attendibili, per paura di sentirmi dare dello stravagante.»
Ma sono ben ridicolo io a consumarmi per la frivolezza: anzi voglio subito rimettermi in florido, talchè nessuno, vedendomi da quì a dieci giorni, possa accorgersi del mio deperimento. Difatti il dirmi frivolo non implica forse un elogio tanto magnifico quanto involontario? Ciò prova che io fui talmente invaso dal mio tema, e rappresentai così bene la mia parte da parervi proprio che dicessi davvero. Dunque mi avete creduto sul serio un affamato che delira davanti al minestrone, e che della preminenza data al salame si sdegna come d’un grave oltraggio alla morale. Ho capito: vorreste persuadermi che io sia il genio dell’arte comica e dell’ipotiposi. Ah no, la mia modestia vi si rifiuta e arrossisce da capo a piedi. A questo conto quale sarà la meraviglia vostra, e quali epiteti impiegherete per me quando rappresenterò l’ubriaco e lo sciocco? Anzi, a proposito di quella farsa, sento quì il bisogno e il dovere di protestarvi che quella sì è un complesso di scherzi e d’invenzioni fatte a stomaco vuoto e solamente con la penna; e che davvero io non abuso mai del vino, il quale è l’ultimo de’ miei pensieri.
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