Dico ciò perchè è troppo facile che molti lettori prendano in parola uno scrittore, il quale non si fa già attore per la bella ambizione di dare spettacolo risibile di sè, ma perchè in linea d’arte l’io è di tutt’altra forza e vivezza del lui. E tale mia dichiarazione la fo quì, per non dover mettere là a pie di pagina una nota che ammazzi l’illusione: come mi avete saggiamente rimproverato a proposito di quella sul Lamartine. E me n’era accorto anch’io: ma che volete? per un verso quella freddura che, a mente più riposata non piace più nemmeno a me perchè grossolana e insistente, allora mi pareva una bella cosa, e voleva dirla: per un altro, mi pesava l’idea che molti pigliassero le mie parole per più che uno scherzo innocente. Che se voi stessi, scrittori d’acuto ingegno, e versatissimi a cogliere il gioco dell’ombreggiare, avete qua e là mal’inteso alcun mio pensiero detto bislaccamente, ma di significazione seria e dolorosa (come il consistere la filosofia e la letteratura nostra nel mangiare per primo la minestra): non avrò diritto di temere il subitaneo giudizio di molti che non si trovano nelle vostre condizioni intellettuali?
Quì a proposito di libri frivoli, si presenta spontanea la famosa questione dell’arte per l’arte. Nell’impossibilità di addentrarmi in questo tema che merita esso solo un volume, m’ingegnerò di stringere in poche parole il mio debole avviso. Che dall’arte contemporanea si esiga in massima qualche nobile scopo fuor di sè stessa, va bene: e l’epoca nostra ha tutta la ragione di bramare associato l’utile al bello.
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Lamartine
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