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      In sostanza, sono umanitario anch’io, cioè galantuomo bramosissimo del bene: e se per vezzo antico, e anche monotono, scherzo quà e là su quella parola, è sempre riferibilmente a quanto nel mio modo di vedere reputo utopia. Del resto, quali sieno le miserie del popolo povero, e quanto senso di pietà e quanto desiderio di efficaci rimedii debbano inspirare, non lo dite a me, che da quasi un quarto di secolo mi aggiro giornalmente per tugurii e per ospitali.
      Premesso ciò, soggiungo che in un trattato di morale evangelica quei nomi in peggiorativo starebbero malissimo, e male anche in un libro severo di scienza, o in una discussione dignitosa: motivo per cui diventò proverbiale la vile multitude del signor Thiers. Ma in opuscoli umoristici, dove ad arte si tiene un linguaggio franco, incisivo, arditissimo, e dove si affetta di non far proprio grazia a nessun ceto, quei modi non dovrebbero urtare perchè armonizzanti con tutto il resto: massime poi quando non vengono mai accompagnati dal menomo fiele. Quindi bisogna o proscrivere affatto questo genere di letteratura, o finirla di scandalizzarsi per ogni parola. In somma, il popolaccio, come io l’ho definito poc’anzi, esiste o non esiste? Sì, e numerosissimo pur troppo. Dunque io, volendolo nominare, come farò? se rifiutiamo i termini precisi dell’uso e del vocabolario, dovremo aver ricorso alle perifrasi: troviamone una insieme, che sia di commune soddisfazione. Forse il povero popolo? questa, oltre al non esprimere tutta l’idea, può andar bene in uno scritto melanconico, di sentimento o d’istruzione; ma non fa pel mio stile, sempre nelle ragioni dell’arte.


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L'arte di convitare spiegata al popolo
di Giovanni Rajberti
Editore Bertieri Milano
1937 pagine 212

   





Thiers