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      Perciò finisco replicando che siffatti discorsi sono di pessimo genere e di pessimi effetti, e da severamente impedirsi: e se nessun commensale ha il coraggio di farlo, tocca al padrone di casa prima con garbo e destrezza, poi anche con modi autorevoli e risoluti a far deviare la ciarla da quel corso pericoloso. Io mi figuro di essere un buon capo di famiglia, e di non aver omesso diligenze a fine di allevare religiosamente i miei figli. Do un pranzo per sollievo delle cure quotidiane e per passare alcune ore in allegra società: ed ecco che uno sciocco chiacchierone mi vien fuori con quattro frizzi volterriani a sparger semi di scetticismo per quanto vi ha di più sacro nel cuore dei figli miei. Dunque è gettata ogni premura di tenerli lontani dai libri cattivi e dai cattivi compagni, se perfino in casa mia e sotto a’ miei occhi si osa guastarmeli, fosse anche per mera leggerezza e ostentazione di spirito forte, ma con la più mirabile indifferenza. Sono cose da sentirsi a rimescolare il sangue: e parmi sarebbe da compatire quel carattere un po’ vivace che, non ottenendo di far cambiare discorso immediatamente, mettesse mano al vasetto della salsa verde, e minacciasse irrorarne il viso al filosofante. Miei cari, non vi consiglio di agire precisamente in questo modo, nè ritenetelo come precetto integrante dell’arte di convitare: dico solo ciò che io sarei tentato di fare all’occorrenza: e forse appunto perchè sarebbe troppo, i destini non mi concessero di giovare con la pratica la causa dei buoni pranzi.


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L'arte di convitare spiegata al popolo
di Giovanni Rajberti
Editore Bertieri Milano
1937 pagine 212