Vi prego anzi a non propalare questa mia scappatella: e sopratutto a non cambiarmi le parole in bocca, dicendo intorno che io propongo di tirare i piatti nel viso a chiunque intavoli discorsi di poca soddisfazione: giacchè mi voltereste contro quei pochissimi amici che, una volta ogni morte di vescovo, vengono a mangiare un boccone alla buona in casa mia.
Un altro discorso peggiore, se è possibile, del primo (perchè al primo almeno i ragazzi stanno per solito disattenti, quando che sono tutt’orecchi, e direi anche tutt’occhi per capire il secondo) è quello che.... non so quasi come esprimermi: quel genere insomma di discorsi che fa tremare una buona madre per l’innocenza della propria figlia. Povere madri! non basta che debbano talvolta tremare perfino in chiesa, allorchè un rozzo frate sviluppa dal pulpito certo tema delicatissimo con una intrepidezza che spaventa? bisogna proprio che tremino e molto anche a tavola; giacchè tale discorso a tavola è d’una compassionevole frequenza. V’ha gente che non sa dipartirsene mai, e che troverebbe modo di farlo entrare in una dissertazione di araldica, tanto sono abili a cavare da tutto un’allusionaccia, una similitudine, una filza di motti anfibologici, una sconcia allegoria. Considerando la cosa dal lato esclusivo della buona creanza e della convenienza sociale, è pur disdicevole e da riprovarsi: poichè anche in piccolo circolo, e tutto d’uomini, è probabile che taluno non abbia il coraggio di mostrarsene apertamente disgustato, ma che nell’interno dell’animo ne sia nauseato al sommo grado.
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