Il silenzio ostinato e anche affettato di chi sa e può parlare, oh! è di una eloquenza terribile: è l’ideale della maldicenza.... e nel tempo stesso nessuno potrà mai dire che sia maldicenza. Perciò ha ragione il proverbio che un bel tacernon fu mai scritto, e avrebbe dovuto aggiungere che non fu mai nemmeno parlato.
Ma, oimè! noi siamo a tavola, e io calpesto i primi elementi dell’arte mia opprimendovi di morale: e Dio sa che morale! A lei, signor canonico, che ne dice di questo schizzo teorico sulla maldicenza? — Dal pulpito sarebbe una dottrina un po’ troppo nuova e zoppicante; ma esposta fra i bicchieri e per ridere... — Oh, s’intende bene che è per ridere; anzi se ho detto degli spropositi grossi è perchè nella maldicenza sono malpratico e fiacco, e m’è impossibile tener fronte ai teologi. Giorgio! mi avevi promesso non so che piatto di polpettine particolari.—-A momenti verranno. — Bravo; sono la mia passione.
CAPITOLO OTTAVO
È però una fortuna che a rendere meno frequenti i discorsi cattivi ci provedono i discorsi semplicemente sciocchi; i quali, se la compagnia raccolta ha i cervelli un po’ vacui d’idee migliori, hanno diritto di campeggiare durante la mensa; e campeggiano, che è una maraviglia. Uno dei principali discorsi a tavola è l’elogio delle vivande, che molte volte diventa un coro di esclamazioni ammirative. «Delizioso! — Superbo! — Impareggiabile! — Divino!» Uno dirà di non aver mai mangiato una cosa tanto squisita; l’altro dirà: «Questo piatto è la mia passione»; e se state attenti vedrete che almeno per due ore è uomo a passioni insaziabili e divoratrici, perchè dalla minestra fino al caffè trova tutto superlativo, e mangia come un lupo.
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Dio
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