Ma quella cura se la dividono gli amici di confidenza, gli abituati della casa, che spesso sono i più insistenti e accaniti. Che più? perfino il commensale novizio e timido, entrato in relazione coi vicini di posto per qualche sommessa ciarla, ne approfitta subito per animarli almeno sotto voce: «Come mangia poco la signora! — Ma lei si tira giù le dosi omeopatiche. — Perchè lascia passare questo intingoletto? Ha un odore che rapisce.» E non è rarissimo il caso che il domestico nel presentarvi il piatto si faccia coraggio egli pure a seccarvi un pochettino. Insomma, le più allegre mense del buon popolo molte volte sembrano sotto all’influenza d’una congiura di tutti contro ciascuno e di ciascuno contro tutti per ottenere lo scopo finale dell’intemperanza e della scorpacciata.
Ma v’è ancora di peggio. Quanto al mangiare, una persona, per compiacente e domabile che sia, arriva a quel punto che non può più progredire per la semplice ragione che non è più capace di cibo: e le conseguenze del disordine saranno una digestione laboriosa, qualche peso alla testa e allo stomaco, non dormire una notte; insomma poco male, quando il male sia una rara eccezione alla regola della vita. La cosa cammina ben diversamente col bere. Il vino si lascia ingollare con una terribile facilità, e chi con eccitamenti abusa di una persona distratta nel calor della ciarla, può renderla prima ubriaca che conscia d’aver bevuto più che poco. Ubriacarsi! sentite tutto lo sconcio di questa idea che deve incutere ribrezzo ad ogni animo delicato?
| |
|