Mi ricordo che molte volte da mense altronde laute e copiosamente servite di vini esotici (Alicante, Madera, ecc., che non sono mai vini di fondamento), io partii con la rabbia di non aver bevuto nel vero e degno senso della parola, e quasi col terrore di una sete trascurata. Mi occorse perfino il caso che, trovandomi a una tavola numerosissima fra quattro o cinque amici soliti a capitarvi, ebbi ad esclamare: «Se costui seguita a darci questo infame d’un vino brusco, bisognerà risolverci a farlo chiamare alla Polizia.» Dal che nacque un sì sfrenato e scandaloso ridere, che il padrone, seduto al capo opposto della tavola, volle saperne la causa: e io fui costretto a improvvisare una stolida filastrocca che elevò quel ridere fino ai dolori di ventre, e al pericolo di soffocazione. Ancora oggidì, incontrando alcuno di quegli amici, mi dimandano quand’è che faremo chiamare alla Polizia quel tale. Ora però che con tanto sacrificio di oro e di sangue s’ha ottenuto il cambiamento di molte parole, si dovrebbe dire all’Ufficio dell’ordine publico, o di publica sicurezza.
Dunque, intendiamoci bene: per quanti vini scelti o sceltissimi teniate a servizio della tavola, abbiate sopra di tutti e prima di tutti il vino da tavola, che sia saporito, leggiero, trasparente, non nero carico, non azzurrognolo, per carità! (che sono vini grossi, dolciastri, indigesti), non aspro, non acido, che non abbia fiore, che non senta di muffa o di doga guasta: insomma, il legitimo e onesto e ben conservato vino nostrale, di cui la Lombardia, dal bene al meglio, abbonda quasi dappertutto.
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