— Eh, così: quanto basta per distinguere a lume di naso l’ottimo dal pessimo. — Peccato che tu non sia un conoscitore di prima sfera: mi sapresti dire che vino bevi.» Intanto che io l’accosto alla bocca, egli col bicchiere in mano, e con un cierino di esultanza studiava i moti del mio volto, aspettando l’esplosione delle lodi. Ma, accorgendosi che la mia meraviglia era tutt’altro che ammirativa, e che stava per iscoppiare in una risata, mi prevenne: «Per carità, non farti compatire, chè saresti tu il primo a non trovarlo superbo. — Ma ti dico.... — non c’è niente da dire, nè da eccepire; e se lo critichi, ti farò canzonare da tutti. — Difatti è impossibile criticarlo, perchè questo non è mai stato vino.» A tali parole guardò finalmente il suo bicchiero e si mise a fiutare. Indovinate un poco! era nientemeno che caffè brulé.
Ancora due parole. Giunti che saremo all’arrosto nessuno pretenderà da voi lo sciampagna, che è vino di molto lusso e di troppo costo: anzi, se non siete ricchi, verrete santamente disapprovati a volerne servire un pasto d’amici, salvo il caso di festeggiare alcun fortunato avvenimento. Ma non crediate però di sostituirgli quella vuota fatuità dello sciampagnino, che è esso pure una vinessa bastarda, e che pare una spremitura di mele cotte, con entrovi un granello d’orzo per darle un terribil impeto di fermentazione. Difatti all’atto dello sturare, per quanti sforzi s’impieghino a frenarne la furia, scoppietta, sprizza, scappa via, bagna dappertutto, le donne strillano, i ragazzetti piangono di paura, e tutto questo scalpore finisce nello sporcare la bocca con un sorso di schiuma o di saponata dolce come un purgante di manna.
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