Del che, oltre al pelarci così all’ingrosso, ci fanno anche le beffe giudicandoci gente degna di bere l’acquavite. E ci sta bene; e ne ho una consolazione infinita, come se quei denari li guadagnassi io.
Ma ciò che più indispettisce, è l’intima convinzione che tra noi si potrebbe con qualche studio e diligenza ottener vini da non temere il confronto di qualunque altro, per quanto celebre, del mondo. Che i signori inglesi o russi paghino carissimo il bordò, è regolare, perchè non hanno vini da loro, e devono passare sotto alle forche caudine di quei prezzi: e la mercanzia vale tutto il massimo che si può ricavarne. Ma è per noi che quel costo è assurdo: ma che i nostri ricchi tirino da lontano a dieci lire la bottiglia un vino che potrebbero emulare in casa propria con venti o trenta soldi, questo è lo sconcio che confina col sacrilegio. Figuriamoci se l’Italia, il più meraviglioso giardino dell’universo, ha da invidiare i vigneti della Gironda! Nè vale il dirmi che appunto abbisognano terreni magri per l’eccellenza di quel prodotto: perchè noi abbiamo e il magro e il grasso, e l’asciutto e il bagnato, e le costiere e le scogliere, e i poggi a scalinate e le colline, e i terreni vulcanici: tutto noi abbiamo in Italia, tutto.... fuorchè l’Italia. È proprio l’abbondanza che ci fa negligenti, come quei ragazzi che sapendo d’esser ricchi non vogliono seccarsi a studiare. Dove il suolo è fertilissimo, l’industria non si avvantaggia di tutte quelle arti onde si fanno forti gli abitatori di terre ingrate.
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