Io conobbi un vecchio imbecille e mal foggiato, che stando a Milano si faceva mandare gli abiti da un sarto di Parigi, e li pagava il doppio. Imaginatevi come sarà stato leggiadro e seducente a settant’anni con indosso l’abitino del tailleur parigino. Roba d’avvisarne i sarti perchè lo facessero correre per le strade a buccie di melloni. E non sono casi molto rari.
In Lombardia non v’è quasi provincia che non vanti più qualità di ottimi vini, capaci coll’arte di diventare vini superbi. E l’amico Piemonte? chi non conosce almeno di fama l’Asti, il Ghemme, il Gattinara, il Rocca Grimalda, il Molera, ecc.? È vero che alcuni di questi sono un po’ pesanti e forti, perchè appunto si abbandonano quasi esclusivamente alla natura, e noi siamo ancora a quella di non saper fare il vino che coi piedi; ma se ci adoperassimo intorno anche la testa, e quel corredo di scienza enologica e di scrupolose e indefesse cure onde acquistarono celebrità i vini di Francia (come adesso si comincia a fare negli Stati Sardi), anche i vini italiani raggiungerebbero le tre grandi qualità di merito commerciale, pasteggiabilità, durabilità e navigabilità. E dove lascio i vini siciliani? e il Capri? e il Lacrima-cristi, il cui solo nome sublimemente poetico inspira venerazione? e i vini di Toscana, produttrice di tutte le cose buone come di tutte le cose belle?
Nel mio ritorno dal viaggio scientifico a Napoli, una mattina sbarcammo a Livorno: e si pensò tosto alla colazione perchè, ritenetelo, a ventre digiuno non v’è scienza che faccia buon pro.
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