Colla perseveranza si vincono pure le grandi difficoltà! Bisogna poi anche riflettere che noi eravamo tre scienziati, e perciò in diritto di bere come un doppio numero d’ignoranti e anche più, massime in via esperimentale. Nè crediate già che quel vino ci facesse male, oibò! l’oste saggio, con quel suo pratico colpo d’occhio, aveva conguagliato il fiasco alla ciera degli ospiti suoi, e presentata la giusta misura. Ora, è il vino cattivo che fa male, il buono fa sempre bene, quando se ne usa con la debita moderazione (di fatti noi non ne volemmo più altro), e quando chi beve è mens sana in corpore sano. In prova di che quel giorno siamo statibenissimo, divinamente. Vedute le migliori rarità di Livorno, s’andò per la strada ferrata a Pisa ad ammirare le rive dell’Arno, il Cimitero, il Duomo; fecimo risuonare la vôlta del Battistero con le nostre voci stentoree: nè si risparmiarono le osservazioni estetiche davanti alla Torre pendente. «Che ne dici di questa baracca così storta? — Eh, di quando in quando fa bell’effetto anche questo come a vedere un bel gobbo. — Non ti pare che faccia un gentile inchino a noi forestieri? — No, caro, perchè non si piega verso di noi: a me pare piuttosto che abbia bevuto lei sola tutto il nostro vino di questa mattina. — Vedi come si presenta bene il mare in lontananza! — E che cos’è quella montagna là nel mezzo? — È l’isola Capraja, o per lo meno la Gorgona. — Ah, ora capisco il Dante dove dice Movasi la Capraia e la Gorgona, ecc.: per gustare i classici bisogna proprio fare un viaggio scientifico da queste parti: quella montagna là sembra fatta a posta per venire quietamente una bella sera a stoppare la foce dell’Arno: e se il fiume è grosso, per ora della mattina i Pisani si risvegliano e si trovano belli e annegati.
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