Per li altri tutti di solito è noja, e nulla più. Oh beati i pranzi diplomatici e politici (all’estero, s’intende bene), dove uno si leva a seriamente ciarlare in facile prosa, e gli altri seriamente attendono a bere e applaudire! dove si fanno tanti toast, e a tanti personaggi, che se si bevesse un sorso di vino a onor di ciascuno, i commensali dall’essere a tavola dovrebbero riescire tutti sotto alla tavola a russare per esaurimento di ammirazione. Beati anche i nostri desinari alla buona, dove il brindisi si risolve in un «mille anni di salute e prosperità al signor N. N. e a tutta questa bella comitiva!» e la comitiva: «Bene, bravo, evviva, evviva!»
Il male, replico, è di quegli infelici che per dritto o per traverso hanno nome di poeti, e debito di mostrarsi tali per ogni minchioneria. Si accetta spensieratamente un invito: e subito dopo un tale viene a dirvi all’orecchio: «Bisogna poi ricordarsi che è l’onomastico della marchesina: quattro versetti faranno tanto piacere.» Oimè! è una stoccata al cuore come quando vi si cerca in prestito cento lire per pochi giorni da un caro amico che abbia ciera da voler tenerle per cento anni. Che cosa si ha da dire per la marchesina? che è tanto bella, che è nell’aprile della vita, che è il fremito di tutti i cuori.... sciocchezze tanto difficili a dirsi bene, che sarebbe assai meglio fingersi impedito, e non andare al pranzo. Ma se incomincio quest’anno, l’anno venturo saremo da capo: anzi m’inviteranno a posta: non me ne libero più. Questo è il terribile dei brindisi: la loro periodica ricorrenza!
| |
|