Bisognerà ripetere che è una bellezza tiranna, che è la palpitazione di tutti i cuori, e che è nell’aprile.... sempre aprile? sicuro passano gli anni, ma i mesi restano: e quando dobbiate cambiare, dite piuttosto marzo che maggio, per carità! Insomma, una volta entrati in questi impegni, siamo al dilemma: o romperla con una casa e non lasciarsi più vedere, o continuare per tutta la vita a scorgere i zefiri di primavera su di un volto che richiamerà piuttosto la brezzolina d’autunno. Un prete che faccia il panegirico di un santo, o l’ottavario dei morti, cambiando chiesa, ha la fortuna di poter sempre predicare le stesse parole ogni anno e que’ suoi scritti possono dirsi una piccola rendita perpetua, una Cartella del Monte. Ma il povero poetastro, condannato a recitar sempre le stesse lodi nella casa istessa, deve continuamente variare sopra un tema già monotono e nullo. E questo sforzo è una fatica da retore così arida, così dura, così difficile, che il buon senso publico dovrebbe rivoltarsene per compassione, e condannare i brindisi a perpetuo bando, con apposito e assoluto precetto di Galateo.
Voglio citare un fatto che servirà di esempio salutare ai fabricatori di versi. Nel 1837 fui invitato pel giorno quattro novembre alla villeggiatura in Ceriano di don Carlo Villa, che vi facea celebrare una festajuola in un suo oratorio, seguita da pranzo. E fo tanto più volontieri menzione di quell’ottimo signore, perchè, oltre all’essere stato uno dei più benemeriti cittadini, per utile operosità e intelligente beneficenza, era anche un anfitrione di ottimo gusto, i cui conviti si distinguevano per armonica riunione di capi ameni, e quindi per un ridere che non finiva mai.
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Cartella Monte Galateo Ceriano Carlo Villa
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