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      E non è gran male che il poeta cesareo sia un mestiero abolito come l’altro di buffone. Ma almeno dal buffone si toleravano utili e ardite verità: dal poeta non si soffrivano che stolte bugie. Perciò il buffone sparì dalle Corti qualche secolo prima del poeta.
      Quando i versi a tavola non si riducano alla monotona lode d’un padrone o d’una padrona di casa, ma piglino occasione o da avvenimenti lieti, o dalla presenza di alcun uomo illustre, allora possono anche assumere importanza di lavoro d’arte. L’avervi già condannati a sentire un mio brindisi, mi mette in tentazione di proseguire a farvene subire un altro, scritto con aria di pretensione maggiore, perchè s’indirizzava nientemeno che al maestro Rossini. In buona coscienza dovrei risparmiarvelo, perchè fu già stampato, salvo qualche strofa, perfino in una strenna; e per un componimento qualunque il finir sulle strenne è l’ultima fase di degradazione: è come il cavallo che va a finire di vecchiezza in mano de’ carrettieri. Siccome però quando fu scritto (1838) parve cosa d’un’audacia insolita, e mise in orgasmo le spie, e fece latrare i cagnotti; così abbiate la pazienza di rileggerlo adesso, e poi mi saprete dire per mia tranquillità se vi siano dentro i principii di un rivoluzionario furente.
     
      Quand pensi in tra de mi chi vorrev vessSe mai se dass el cas de barattamm,
      E che tiri su ’l cunt de chi gh’è adessDe grand in su la terra, in tutt i ramm,
      Quand, disi, in del mè cœur foo sta revista,
      Me ven semper Rossini in capp de lista.


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L'arte di convitare spiegata al popolo
di Giovanni Rajberti
Editore Bertieri Milano
1937 pagine 212

   





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