Quà, versami il Gattinara vecchio, che pel formaggio, e specialmente per questo, non ci vogliono vini da burla. Io me ne intendo, vè, e ti dico che il Grana sta a tutti gli altri formaggi del mondo come Giove Olimpico alla marmaglia degli Dei minori. E quantunque non abbia il nobilissimo angolo facciale di cento cinque gradi che gli diede il divino scalpello di Fidia, ce lo faremo noi col coltello, di cento dieci, di cento cinquanta, di mille gradi! Vedi che fila di seta lascia dietro al taglio: e proprio di quello che fa la schiena, e unisce l’energia d’Ercole alla delicatezza di Aracne. Noi qui gli abbadiamo poco, come al sole, perchè è cosa nostra e commune: ma all’estero gode una riputazione immensa, e lo vendono i droghieri, e crescendo l’incivilimento finiranno a venderlo gli orefici, perchè è un vero granito d’oro e, col difundersi dei lumi, si acquisterà a peso d’oro.
Mi ricorderò sempre che, da giovinetto di quattordici o quindici anni al più, mi occorse di fare una trottata a Corsico, villaggio a quattro miglia da Milano, fuori di Porta Ticinese: dove erano ricchi depositi di formaggi per la stagionatura. Un buon vecchio dal ventre enorme, e dalle gambe che pareano colonne, e con un faccione rubicondo da luna piena, s’incaricò di condurmi a vedere alcune casare: e nel farmi percorrere a colpo d’occhio quella sterminata grazia di Dio, mi diceva: «Queste sì sono le vere biblioteche, signor abatino; e libri che si leggono tutti e fanno buon pro: non come quelli dei loro studii che fanno diventar magri e morire prima del tempo»; e parlando mi squadrava da capo a piedi, in aria di compassionare la mia figura sparuta e mingherlina, e specialmente un certo pajo di gambette deplorabili che sembravano due flauti.
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