Ti lascio imaginare se io allora rimanessi scandolezzato di quel discorso, io colla zucca tutta piena di Cornelio Nipote, di Tito Livio e di Marco Tullio; anzi ne feci per molti anni le più saporite risate, narrando a tutti l’aneddoto occorsomi con quel bestione di vaccaro. Ma quando coll’andare del tempo misi pancia anch’io, e le mie gambette divennero gambotte, e che crebbe in proporzione il discernimento delle umane cose; allora mi entrò tutta la sapienza di quelle parole, e capii che io era un ragazzo, e quello un uomo.
Il male è che i dotti queste cose non le capiscono mai nemmeno quando sono grandi e grossi. Ne vuoi una prova? indovina un poco che nome danno al formaggio di grana i così detti linguisti che sono i veri carnefici della lingua? lo chiamano formaggio parmigiano, oppure il parmigiano, senz’altro, tanto la parola sembra loro chiara ed evidente. Ma non è cosa da buttar via la testa? si può render la lingua più sfacciatamente bugiarda, per non dire calunniatrice? E poi mi daranno torto quando asserisco che i filologi sono tutti asini! Parma! che cosa c’entra quella città col formaggio di grana? Parma vanti pure il suo Tommasini, il suo Toschi, il suo Giordani, ecc. e, ciò che più importa, le sue famose bondajole: perchè gli uomini illustri sono accidenti che passano, e i buoni majali restano sempre: ma il formaggio di grana! oh, non si sale tant’alto: e i Parmigiani da quella brava gente che sono dovrebbero fare un ricorso in carta bollata per ottenere la rettificazione giuridica e legale di un tanto sproposito: altrimenti crederemo che vogliano vestirsi delle penne del pavone.
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