Io l’ho coi letterati, vedi, perchè sono cinque secoli e più, fino dal tempo di Dante, che si tormentano e ci tormentano colle questioni di lingua: e che fanno liti d’inferno, e che si beccano peggio che i polli in una capponaja: e non solo per la lingua, ma a poco a poco per l’abbici, e l’ortografia e le consonanti doppie, e gli accenti e le virgole, che è uno sfinimento, e non si sa più a chi credere o a chi dare ascolto. E poi quando si tratta di parole che dovrebbero prenderle da chi le ha inventate insieme alle cose, dal popolo, e dall’uso commune, creano di loro capo termini assurdi, per singolarizzarsi: e sono capaci di chiamare argomento il serviziale e parmigiano il formaggio di grana. Mi pare che sarebbe il caso di applicar loro per punizione i loro stessi argomenti. Che ne dici, Giorgio? non è cosa dà diventar matti a pensarvi? — Dico anch’io che un’idea fissa può far diventar matto un uomo, e perciò finiscila, se no io non ti lascerò più bere. — Oh, in quanto a questo io bevo ancora perchè ho da ragionare, e le mie ragioni voglio dirle tutte.
Alcuni altri, per esempio, lo chiamano formaggio lodigiano: via! manco male, perchè almeno comincia ad esserci della verità: ma la verità non c’è tutta. Il Grana è come Omero che fu disputato da molte patrie, anzi meglio: perchè il nostro formaggio ne ha proprio molte, mentre l’Orbo divino non poteva averne che una. Dunque la patria del nostro eroe non è solo la provincia di Lodi, ma anche quella di Pavia, ma anche quella di Milano: giacchè appena fuori di Porta Ticinese, di Porta Vigentina e di Porta Romana si fa la formaggia di prima qualità: eh, Milano nelle cose belle e nelle cose buone c’entra quasi sempre: è il vizio della mia patria.
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