Si starebbe freschi se, per andare a Pavia o a Padova, si dovesse sapere il latino, o anche solo l’italiano. Dunque, come ti dicevo, ubi plura nitent in carmine, non ego paucis offendar maculis, il che all’ingrosso significa, che quando il pranzo nel complesso è buono, non si deve sofisticare sui lievi difetti, nè arricciare il naso sulle piccole macchie, per esempio sulle macchie delle candele di sego.
Adesso voglio lasciare in pace l’amico Giorgio, al quale, essendo finito il desinare, non saprei più cosa dire; e poi, povero diavolo, deve essere ristucco delle mie importunità: e mi rivolgerò nuovamente ai lettori per raccontar loro che questo mese di gennajo mi pervenne una lettera anonima. Non so se agli altri scrittori accada lo stesso: ma è ben raro che io publichi un libercolo senza che mi rechi il frutto di alquante lettere non sottoscritte, nelle quali mi danno allegramente ora dell’asino, ora dell’arrogante, ora del birbone, e qualche volta tutti insieme questi titoli, e col dovuto corredo delle prove. Almeno adesso c’è il vantaggio che col nuovo sistema di apporre il bollo alle lettere tali strapazzi non importano tassa. Per l’addietro c’era anche il danno di pagarli: e dover sempre pagare e pagare chi non fa altro che insultarci e vilipenderci, non è cosa molto piacevole: me ne appello a coloro che si trovassero in simil caso. Dunque, la lettera della quale vi parlo, essendo la più civile e ragionevole fra le anonime da me ricevute finora, credo opportuno di publicarla come sta, tanto più che se non lo fo io, l’autore mi minaccia di farlo egli stesso.
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Pavia Padova Giorgio
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