Dove mi sono affatto convinto di ciò è quando nel descrivere i grandi che vanno a mensa, accennate col più amaro disprezzo al codazzo composto dal ragioniere, dall’avvocato, dal prete di casa, e se v’è di peggio; quasi che voi foste qualche cosa di meglio di questa gente. Non potete imaginarvi a quanti le vostre superbe parole abbiano fatto salire la mosca al naso.
«Ma io vi perdono tutto, chè nulla m’importa delle vostre tendenze, e altronde io non appartengo a nessuna di quelle professioni; però a un patto: che facciate cenno d’un abuso che accade proprio alle mense più distinte: ed è, che in fine di tavola si mette davanti a tutti una tazza azzurra con acqua tiepida per lavarsi le mani e la bocca. Vi pare anche questa una meraviglia degna delle vostre umilissime lodi? Fino a lavar le mani, pazienza: se ne sente il bisogno, perchè durante il pranzo è troppo facile l’aver preso colle dita qualche pezzo di volatile, o qualche fetta di salato, o qualche frutto. Ma quel scialacquare(14) la bocca e fare il ganascione di quà e il ganascione di là, cicch ciacch, cicch ciacch, e poi sputare nella sottocoppa, è una cosa che non sembrerebbe credibile se non la si vedesse; e che dopo veduta non sembra ancor vera. E notate che questa usanza, oltre all’intrinseca sua bruttezza, riesce anche insidiosa ai commensali timidi e novizii, i quali sono capaci di scambiare quell’acqua tiepida per il colpo di riserva, ossia per la delizia finale della mensa, e beverla tutta saporitamente, come qualche volta mi e accaduto di vedere.
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