Viva ancora la vostra faccia! Addio.
«Milano, 15 gennajo 1851».
CAPITOLO DODICESIMO
Il pranzo è consumato: nessuno più mangia, e gli uomini finiscono di vuotare l’ultimo bicchiero. La moglie del signor Onofrio deve aver promesso i dolci a tutti i fanciulli della sua contrada, perchè è diventata un’offelleria ambulante: da un quarto d’ora almeno non fa altro che intascare e insaccare pasticcini e zuccherini, levandoli un po’ d’un piattello, un po’ da un altro con una disinvoltura e un’aria di distrazione come se fossero sempre i primi che tocca e nessuno dovesse avvedersene. Queste operazioncelle così naturali bisogna saperle fare con molto garbo, e anche con qualche moderazione: e tocca poi ai padroni di casa, se vogliono essere compitamente gentili, a stare attenti a chi vagheggia con più tenerezza le varie specialità del dessert, e dire, per esempio: «Signora Brigida, i suoi bei ragazzini oggi sono privi della di lei compagnia per nostra colpa: bisogna dunque compensarli con quattro bagatelle adattate alla loro età»: e fare un bel cartoccio per la signora Brigida: e non lasciarsi smovere dall’«oibò, oibò» nè dal «non ci mancherebbe che questa dopo tanti disturbi»; nè dal «non permetterò mai», giacchè avrete indovinato il suo vivo desiderio, e, fingendo di non permettere, permetterà con tutto il piacere.
Giorgio e sua moglie si scambiano un’occhiata d’intelligenza e si levano in piedi: tutti fanno lo stesso, e si ritorna nell’altra sala. Questa volta non si fanno più le smorfie di prima per voler cedere il posto: s’ha ciarlato e s’ha riso molto, s’è anche bevuto abbastanza bene, s’è entrati in qualche confidenza con tutti o quasi tutti, nel muoversi si discorre ancora calorosamente; perciò si va avanti senza tante cerimonie: manco male!
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Onofrio Brigida Brigida
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