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      Le macchine da caffè vanno annoverate fra le conquiste gloriose dell’attuale incivilimento: e ve n’ha di vario genere, e ingegnosissime, e perfino trasparenti che lasciano vedere tutto il processo dell’operazione, talchè stando attenti ad esaminarle, mentre se ne attende il benefico risultato, si riceve anche una bella lezione di fisica, di mecanica, di idraulica, di pirotecnica, che so io? insomma, c’è della scienza in azione, e la scienza colta sul fatto dà tutt’altro succo, ed è ben altrimenti digeribile che quella blaterata dalle cattedre o dai libri.
      Chi serve il caffè non distribuisca mai zucchero nelle tazze, nè tanto nè poco, come sventuratamente hanno fatto le buone figlie di Giorgio: perchè i gusti sono varii, dal bere dolce come il miele fino al voler assaporare in tutta la sua purezza ed energia l’amaro sublime della nobile fava. A ciascuno, di
      mano in mano che è chiamato, si presenta la zuccheriera piena, e la chicchera vuota; affinchè si serva meglio a suo genio: e poi gli si versa o gli si spilla il caffè. Per ultimo, il caffè sia abbondante. Una volta, barbaro costume! s’usava a riempiere la tazza e la sottocoppa. Ora che, allo scopo di bere caldissimo, e di non impacciare troppo ambe le mani, e di non complicare l’operazione con doppio riparto di zucchero, quel metodo fu abolito; ora c’è poi l’inconveniente che le chicchere restano sempre della capacità di una volta: il che equivale all’essere trattati a mezzo soldo come gli impiegati in disponibilità. Per i pranzi che, quantunque squisiti e copiosi, decorrono tranquilli e savii e senza eccessi, quella dose è sufficientissima, nè oserei suggerire riforme: ma per i grossi e lunghi desinari del buon popolo, dove si fa troppo mangiare e bere, dove insomma c’è un pochettino di crapula, la cosa non va bene.


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L'arte di convitare spiegata al popolo
di Giovanni Rajberti
Editore Bertieri Milano
1937 pagine 212

   





Giorgio