Serve a dimostrare che si ricordano dei buoni amici, e incidentemente può anche servire come anello di concatenazione tra un invito e l’altro, dove l’invitare è frequente. E così di pranzo in chilo e di chilo in pranzo, moltissimi raggiungono quelle periodicità ebdomadarie o poco meno, che, distribuite sopra quattro o cinque case, salvano un galantuomo dall’osteria o dall’ordinario di famiglia per una grassa metà dell’anno. Il mondo in queste cosuccie non manca di una certa filosofia.
M’imagino che adesso i miei buoni lettori s’aspettino la morale dell’opera: ma v’è bisogno di darla? non è sparsa abbastanza per ogni pagina? se non ve ne siete avveduti, è segno che io sono un autore dei più sublimi e difficili a capirsi: e quasi me ne persuado per le interpretazioni incredibili alle quali vo soggetto. Comunque sia la cosa, mi proverò a concentrare tanta dottrina in una succosissima quintessenza. I conviti stanno fra le migliori costumanze del consorzio civile: sono un piacere innocente e fatto per tutte le età: avviano e rassodano le amicizie; moltiplicano le conoscenze simpatiche o vantaggiose: giovano a perfezionare l’educazione pel contatto promiscuo e spontaneo della gentilezza, dell’ingegno, dei modi squisiti; tendono a diminuire le disuguaglianze fittizie dei varii ceti, avvicinandoli nell’allegro e cordiale soddisfacimento d’un commune bisogno: ciò che difficilmente si ottiene col freddo e misurato conversare a bocca asciutta. Se mi dimandaste dove si potrebbero scrivere senza impostura le parole libertà, eguaglianza, fraternità, risponderei: sulle pareti d’una sala da pranzo.
| |
|