Il mondo dà praticamente ai conviti il valore che non sanno attribuir loro i libri sentimentali: giacchè gli avvenimenti ricordevoli di famiglia, i contratti importanti, le lauree, le promozioni di carica, gli sponsali, tutto quanto v’ha di felice o di creduto tale, si festeggia con un buon desinare.
Lessi, son già molti anni, la Corinna della Stäel, che mi lasciò una gradevole reminiscenza perchè è un’opera riboccante di fina estetica e di affetto soave e delicato, ciò che era da attendersi da una donna tutto ingegno e cuore. Ma giunto alla fine, la mia critica principale fu questa: Com’è possibile compiere un romanzo in quattro tomi senza mai mettere a tavola i suoi personaggi, e senza una sola parola di cibo o di bevanda? È un’omissione così ostinata e contro natura, che bisogna averla fatta a studio, e forse superando gravi difficoltà. E per me che sono debolissimo nei criterii di giudicare il bello, basta tale idea a mettermi in grande sospetto che questo libro con tutto il suo merito mi offra fisonomie e pose e tinte piuttosto artifiziose e convenzionali che vere. Se ci fosse natura, come farebbe a dimenticare sempre l’ora del pranzo? Non v’è nè poema nè romanzo dall’Iliade ai Promessi Sposi dove non si mangi e non si beva: e questa sentimentalissima Corinna non ci diede mai nemmeno un sorbetto o un bicchiere di limonata. Che il cuore di madama Stäel sia stato così grande da invadere tutto il posto del ventricolo e ridurlo a zero? A ogni modo, doveva ammettere quest’organo negli altri, e rispettarlo.
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