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      Ho già notato l'abituale taciturnità del gatto, argomento per lui di credito, di tranquillità, d'indipendenza. Vedete mo' quello stolido di cane: egli abbaia a tutti quelli che non conosce, e ad ogni più lieve rumore; perciò l'uomo, indiscreto, oltre a tanti altri mestieri, gli fa fare il portinaio, il guardiano, la spia. Il gatto non parla che per bisogno; per farsi aprire un'uscita, per dolore, per trasporti erotici, per fame.
      Sulla virtù del tacere ci sarebbe a scrivere un trattato prezioso. Qui basti accennare un solo fenomeno del cuore umano. Tra due persone nuove, l'una delle quali parli molto e bene, e l'altra taccia affatto, chi più ci impone è la seconda. Perché la prima è un libro aperto, una mercanzia spiegata, di cui conoscete il valore; l'uomo è vostro.
      Ma il taciturno è un problema da sciogliere, stuzzica la curiosità, non sapete da che lato pigliarlo, né come accetterà le opinioni vostre; quindi vi tiene in soggezione, ed è quasi uno spauracchio. Gli sciocchi, che d'ordinario sono i più vuoti e molesti ciarloni, quanto guadagnerebbero a tacer sempre! Quei di loro che per soverchio torpore d'intelligenza spiegano questa virtù negativa, finiscono col passare in faccia ai più per persone rispettabili. Il silenzio è la migliore coperta dell'ignoranza, e spesso arriva a farla scambiare per saggezza. È poi ben raro che il tacere generi pentimento; ma una parola ha deciso molte volte dell'infelicità di tutta la vita; molte altre costò la vita stessa. Pel gatto simili pericoli non sussistono; eppure egli tace per la sola ragione che il parlare senza bisogno è una fatica inutile.


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Sul gatto
Cenni fisiologici e morali
di Giovanni Rajberti
Editore Bernardoni Milano
1846 pagine 98