L'ubriachezza nell'uomo è pur feconda di terribili effetti! ottunde l'ingegno, fa perdere ogni voglia di lavoro, rovina la salute, abbrevia la vita. E anche nelle più immediate conseguenze, quale oggetto di compassione è l'ubriaco! O diventa brutalmente rissoso e manesco, o scioglie la lingua alle più stravaganti minchionerie, che lo rendono ludibrio di chi l'ascolta, o peggio ancora, svela a chicchessia i più reconditi e gelosi segreti dell'anima. Se qualche ubriacone mi ascolta, per carità di se stesso cerchi in avvenire di inebriarsi alla maniera del gatto, al quale non accade mai nulla di tanti malanni.
Qui riflettiamo un istante alle ingiustizie sociali. È d'uopo confessare che una così rispettabile bestia non gode generalmente l'alta stima che ha saputo sempre meritarsi. Ciò richiama alla memoria quel proverbio, che nessuno è grande agli occhi del proprio servitore. Noi tutti serviamo, e senza interesse, ai bisogni, ai comodi, ai piaceri del gatto; e fin qui la cosa cammina bene: se non che la forza dell'abitudine e della domesticità ottunde il senso dell'entusiasmo: ab assuetis non fit passio. Ma il proverbio ancor meglio calzante al nostro caso è l'altro: nemo propheta in patria. Ora, il gatto è cosmopolita, la sua patria è da per tutto; e fino in ciò rassomiglia agli uomini veramente sommi e affatto eccezionali, che sono reclamati dall'umanità intera, e dei quali enfaticamente si dice che hanno per patria il mondo.
Amici, concludiamo. Per istringere in una formola compatta e forte l'ammirazione dovuta a sì nobile animale, bisogna dire: «Se io non fossi un uomo vorrei essere un gatto». Né vi sembri che tali parole siano un plagio di quelle altre famose: «Se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene». No. Qui sentite l'adulatore superbo e vigliacco che designa se stesso pel primo uomo della terra, e dà il secondo posto a quel cattivo mobile di filosofo matto.
| |
Sul gatto
Cenni fisiologici e morali
di Giovanni Rajberti
Editore Bernardoni Milano 1846
pagine 98 |
|
|
Alessandro Diogene
|