Insomma, quando la severa robustezza della Chanson de Roland non appagava più gli animi degli ascoltatori; quando lo spirito e l’entusiasmo delle crociate, se non l’abitudine di passar il mare in cerca di gloria e d’indulgenze, erano venuti a spegnersi negli animi; quando si porgeva orecchio alle recitazioni dei giullari unicamente per sollazzo e passatempo, il ciclo carolingio era un cadavere, e più non ci si poteva infondere nuova vita. Prevalere sui rivali che gli si levavano contro da ogni parte, gli era tanto impossibile, quanto ad un vecchio canuto, sfinito, che appena si regge, il contrastare ad un giovanotto le grazie d’una bella donnina, a forza di tinture, di parrucche, di unguenti.
La parte del giovanotto, in questo caso, la facevano i romanzi d’avventura, e particolarmente quelli della Tavola Rotonda,(14) che vediam pullulare dopo la metà del secolo XII. La loro storia non è ancora ben chiara; manca tuttavia un lavoro rigorosamente critico, che, senza dissimulare né le lacune, né le difficoltà, - e non son poche! - abbracci il soggetto in tutta la sua estensione, determini nettamente le questioni, non affermi, ma provi. Tuttavia nessuno dubita più che il ciclo brettone non meriti veramente questo nome per le sue origini, e che sotto ai romanzi in prosa e in verso pervenuti a noi, non giaccia uno strato considerevole di tradizioni e di lais celtici. Il difficile sta nel definire esattamente i rapporti di questo strato inferiore col superiore; nel distinguere con precisione la parte dei Brettoni insulari e quella degli Armoricani; nel determinare come penetrasse tra i Francesi codesta materia di Brettagna, quanto aggiungessero essi di loro creazione, qual fosse il processo di svolgimento.
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