Nell’uno, la donna aveva una parte affatto secondaria: nell’altro, era inspiratrice e ricompensa di opere ardite e magnanime, sospiro e conforto, principio e fine di ogni azione. Quindi l’amore, che dalle vere chansons de geste si potrebbe togliere con danno lieve, anzi molte volte con vantaggio non piccolo, è la nota predominante dei romanzi d’avventura. E voglio dire con ciò, l’amore in tutte le sue forme; dalla più pura e casta, alla più brutale. Ma la sua manifestazione più caratteristica è qui un sentimentalismo, partecipe nella stessa misura dello spirito e della materia, dell’angelico e del diabolico: l’amore adultero di Tristano ed Isotta, di Lancilotto e Ginevra, dal quale involontariamente corriamo col [9] pensiero alla letteratura moderna, per poi domandarci, se sia casuale, oppur no, questo perpetuo ritorno d’un popolo a uno stesso ordine di concezioni.
L’amore è uno degli elementi principali di quel sentimento cavalleresco, che è codice, morale, religione, di tutti gli eroi del ciclo d’Artù. Giacché i monasteri, le chiese, i romitaggi, insieme coi loro abitatori, si riducono nei romanzi della Tavola Rotonda a un mero apparato. Gli animi non riconoscono nel fatto altra legge, che la protezione del debole, la lealtà verso la dama e il signore, il disprezzo dei pericoli, l’abbominio d’ogni frode e vigliaccheria. Però, cristiano, pagano, si riducono a epiteti vuoti di senso; né si saprebbe dire in che differisca Palamidesse, ostinato a non voler ricever battesimo, da Lancilotto, Galvano, Girone, e tanti altri, che ascoltan la messa quasi ogni mattina.
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